Siamo
andati a trovare l'ultimo costruttore di falaschi. Sono cinque le capanne
di falasco ancora in piedi, ma solamente due sono integre e abitabili,
delle molte decine che, fino a qualche tempo fa, si potevano scorgere
ancorate sulla sabbia in quel braccio di terra tra San.Giovanni di Sinis
e lo stagno di Mistras, poco distante dall'area archeologica di Tharros.
Luigi
Garau ("Luisiccu"), 77 anni, sguardo d'aquila di mare e viso
cotto come un'argilla al sole del Sinis, ci accompagna con un misto di
orgoglio e di malinconia, ad illustrarci i relitti di una civiltà florida
e creativa nella fase della sua estinzione. Egli è l'unico costruttore
rimasto in vita di "barracas", antiche dimore di una comunità di
pescatori - costruttori, di cui pochi esempi si hanno al mondo.
Servivano
da ricovero per il pescatore e i suoi strumenti di lavoro nelle pause
scandite dalle condizioni del clima e del mare. Erano dei monovani rettangolari
costruiti con una intelaiatura (sostenuta da una struttura di travi in
legno di 17 cm. di diametro) di canne, inchiodate e legate con giunco,
conficcata sulla sabbia per m. 1,5 e rivestiti interamente di falasco,
un' erba palustre, una cannuccia che può raggiungere i due metri d'altezza
("su cruccùri" in loco e "sinnìga", "zinnìga" nell'Oristanese
) in strati sovrapposti. Sostiamo all'esterno per ammirare l'estetica
e la solidità del falasco. L'inclinazione delle coperture è ripida, indubbiamente
per agevolare un veloce scorrere dell'acqua piovana.
Facendoci
entrare nella sua capanna, che, notando l'aggiunta di qualche modernità,
possiamo definire confortevole casetta, Luigi Garau ci dice di
quanto sia sicura e calda d'inverno e fresca d'estate.
Le
cannucce, ci spiega, si devono prendere nel periodo più caldo dell'estate,
quando sono secche. "Le donne e i bambini ci aiutavano in questo. Tagliavano
e ripulivano le canne. Poi si mettevano al sole per alcuni giorni perché
si seccassero per bene." "Si deve fare così , perché questa - e ci indica
la pianta (si tratta dello Scirpo Marittimo)- ha il carattere di
gonfiarsi con l'umido e restringersi con il caldo". E capiamo così che
una volta legate in strati nella intelaiatura, d'inverno, con le piogge,
si dilatano e non fanno passare un filo d'aria, mentre d'estate si restringono
creando degli interstizi dove l'aria filtra e procura un fresco ristoro.
Ma
c'è di più: "Su cruccùri tiene lontani gli insetti, forse neanche
questo sapevate…" ci dice mentre osserviamo appese su di una parete delle
aragoste. "Alla maniera antica non erano intonacate e non c'era questo
pavimento. Per scaldarsi e cucinare c'era un fuoco centrale senza canna
fumaria perché il fumo passava tra le canne e andava via."
Ci porta
sulla spiaggia e ci mostra una fotografia con l'immagine della stessa
spiaggia poche decine di anni fa : le capanne di falasco sono allineate
a formare una criniera in cima alla costa, sembrano vedette che scrutano
il mare. "Si, da lì potevamo vedere il mare e lo stagno e sorvegliare
gli umori dell'uno e le condizioni dell'altro e decidere meglio sul da
fare. Ce n'erano tante quando ero giovane, non soltanto a S. Giovanni
e a Su Siccu ma anche a Torregrande." Perché sono state abbattute?
Luigi
Garau dà risposte amare su questo. Sappiamo che alla fine degli anni
'80, nell'ambito di un progetto di "valorizzazione" di quella costa e
in base a nuove norme di fruibilità delle spiagge se ne ordinò l'abbattimento.
E' vero che alcune potevano rappresentare elementi di pericolo (avevano
le bombole a gas per cucinare) e di degrado (alcune erano diventate delle
vere e proprie seconde case al mare con tanto di cortiletto recintato),
ma anziché cancellarle drasticamente si poteva assicurarne un loro recupero
imponendo delle precise regole che non intaccassero la memoria della loro
funzione originaria. "Vedete, la mia amarezza nasce da questo. Questa
terra ha avuto per tante centinaia di anni vari padroni: imperatori, comandanti,
giudici, re, baroni, ma nessuno di loro è riuscito a portarci via le nostre
capanne, nessuno ci ha impedito di vivere del nostro territorio. E adesso
che non abbiamo più di questi padroni siamo noi a non essere più padroni
di noi, del nostro vivere e si abbattono le capanne che hanno resistito
nei millenni. E tocca a me vedere tutto questo, questa perdita. Questo
mi fa male."
Fraternizziamo
con lui senza fargli capire che conosciamo bene gli effetti del dominio
di un nuovo prepotente padrone : sua maestà il Turista, per il quale
le coste sono state seminate di ombrelloni, sdraie e chioschi per bibite
e gelati. Capiamo che per Luisiccu, e per tutta quella comunità
di pescatori del Sinis che è ormai nel suo ricordo, la "barraca 'e
cruccùri" non ha avuto il valore di una semplice casetta ma ha rappresentato
l'espressione più alta, insieme ai "fassonis" (piccole imbarcazioni interamente
costruite con le stesse erbe palustri), di quel rapporto creativo e straordinario
che essi hanno saputo tenere con una natura ad alta densità e varietà
di biotipi e al contempo in condizioni non facili per l'uomo. Un mondo
dove si congiungono mare morto e mare vivo, acqua salmastra e acqua dolce,
dove sostano, svernano, nidificano e traggono nutrimento ricche varietà
di uccelli. Dai canneti e dalla giunchiglia che brulicano della loro vita,
l'antica gente del Sinis ha costruito e utilizzato tutto ciò che serviva
per il proprio lavoro, per il trasporto e la conservazione dei cibi :
non soltanto dimore, imbarcazioni, quindi, ma anche cesti, canestri, nasse,
e persino strumenti musicali per ricrearsi (ci ricordiamo infatti che
lo strumento sardo per eccellenza, le "launeddas", è realizzato
con tre piccole canne palustri).
Mentre
l'anziano pescatore ci parla di quegli utilizzi vegetali, ci riporta dentro
la capanna. Si è ricordato, infatti, che un fagotto vegetale lo sta aspettando.
Deve preparare "sa mrecca" per una sua amica che parte e starà
via cinque giorni. I muggini sono già cotti in acqua abbondantemente salata
(la quantità di sale - ci spiega - è proporzionale al numero
dei giorni in cui si vuol tener conservato il pesce), bisogna solo riporli
su di un cuscino di obione "sa zibba" (una pianta presente nelle
zone salmastre e sabbiose i cui rami crescono quasi rasoterra) e avvolgerli
per bene formandone un fagotto. L'amica sarà contenta, ci dice. Ed anche
lui sarà contento, pensiamo, di averci regalato le suggestioni del suo
mondo.
Il
sole declina ormai sul mare e tutto si imporpora. Uno stormo rientra dalle
sue ultime ronde.
Proviamo una triste emozione andando via e salutando calorosamente Luigi
Garau, si, una specie di malinconia.
Qui
nel Sinis, negli ultimi anni, l'impegno di Enti e Associazioni è riuscito
a concretizzare traguardi importanti per la salvaguardia del suo ambiente
naturale: l'istituzione dell'area marina protetta, l'iscrizione di tutti
gli stagni nell'elenco delle zone umide in base alla Convenzione di Ramsar,
la creazione di oasi, proteggendo così l'habitat marino e l'habitat dell'avifauna.
Ci dispiace quindi che non si dimostri lo stesso impegno per salvaguardare
anche la preziosa memoria delle comunità umane che nel Sinis hanno vissuto
e sviluppato la loro cultura in perfetta simbiosi con i suoi elementi.
Non vorremmo che le capanne di falasco, espressione di sapere e di creatività
ecologici, resistendo per tanti anni ai forti venti del Sinis, non siano
in grado di resistere alla cancellazione dell'uomo moderno.
Lidia
Flore
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