Parliamo di nostra madre lingua

         Alcuni giorni fa mi sono imbattuta in una vecchietta simpatica. Rientrava nel pomeriggio inoltrato verso casa, probabilmente dalla messa, o da qualche visita, perché era vestita con ordine e decoro. Vedendo me e i miei amici interessati ad ammirare le rovine della antica chiesa del paese, si incuriosì alquanto. Attaccammo subito bottone, come si suol dire. Fui subito incantata nel sentirla parlare. Il suo eloquio era un'arte - non v'era dubbio -. A lei piaceva sentirsi parlare, perché alternava ritmi e coloriture in modo compiaciuto. Mi venne subito da pensare che le donne sarde hanno usato da sempre la lingua madre in modo artistico, con la piacevolezza del risultato, come hanno fatto col pane, con la tessitura, con l'intreccio. Lei si rivolgeva ai miei due amici singolarmente con "bellu miu"(bello mio) e a me che ero donna "Filla mia" (figlia mia). Ci guardava dritta negli occhi, ponendosi poche domande su di noi ma offrendoci invece molte informazioni sulla vecchia chiesa, come lei l'aveva conosciuta da adolescente, sulla vita paesana di quei tempi. Ero affascinata da quel suo modo di parlare. La varia coloritura del timbro e le immagini vive e piene di sfumature che davano i suoi codici semantici mi davano una specie di ebbrezza. All'improvviso però vengo scossa. La graziosa vecchietta dice: "Innoi ci fura su mori…
Ceramica paleo-sarda
- Cultura di Ozieri -
" Io la fermo "su mori? Cos'è?" e lei stupita della mia ignoranza "su mori, sissi, su mori. Commenti du zerriasi? Su stradoni." (come lo chiamate? La strada )

“Mori” per dire strada non lo avevo mai sentito : O forse lo avevo sentito altre volte, ma non avendone capito il significato non mi aveva stupito la sua stranezza. Era senza dubbio un termine pre-latino di quella schiera sempre più nutrita di vocaboli che incontravo da qualche tempo nelle mie ricerche sulcitane e che erano o paralleli in toto a termini di greco antico o erano vocaboli con una somma di innesto su radici molto simili al greco. Erano vocaboli di toponomastica, ma non solo, nomi di utensili o pezzi di strumenti di lavoro, di botanica. Erano senza dubbio quei fossili, o meglio, quei relitti di cui parla il Prof. M. Pittau che giungono ancora vivi a noi da quel paleosardo emerso nel neolitico dal crogiuolo indoeuropeo, ma che molto probabilmente fonda la sua stratigrafia già nel mesolitico - secondo la teoria della "continuità" di M. Alinei -. E che viva forza a giungere fino a noi nonostante la prepotenza delle alternate occupazioni e nonostante i prepotenti influssi più recenti !

         Sapevo che, soprattutto in questi ultimi anni, numerosi studi e ricerche, da parte di glottologi, dialettologi, linguisti e semplici ricercatori appassionati, avevano messo insieme una mole di corrispondenze tra il paleosardo (attingendo da campionamenti tra le isole linguistiche Barbagia - Ogliastra, che meno hanno risentito da influenze esterne) e le antiche lingue delle aree più ad oriente del mediterraneo (il greco delle isole egee, di Creta, di Cipro ed anche della parte litoranea dell'attuale Anatolia) . Le analisi di queste risultanze hanno prodotto uno scenario per qualcuno inaspettato : La lingua che noi sardi ancora oggi per buona parte usiamo ha la sua antichissima origine nella famiglia lessicale indoeuropea. Non capisco bene perché, ma ciò ha scatenato una barriera di stupidi pregiudizi. Purtroppo molti, anche accreditati, studiosi oppongono un ottuso rifiuto a tesi che giudicano troppo azzardate perché prive di prove dirette. Ma come si possono portare prove dirette dato che, trattandosi di un periodo così antico (certamente risalente a ben oltre cinquemila anni fa) mancano documenti scritti ? E perché, a causa di questo motivo, la ricerca si deve fermare? Perché invece non cercare almeno gli indizi, raffrontarli, interpretarli con rigore scientifico e buon senso come invece fanno alcuni studiosi seri e coraggiosi ?


Dipinto da Giulio Concu (Nuoro)

Poi mi domando : come si può con sicurezza circoscrivere l’origine di una lingua, scervellandosi per arrivare al DNA dei suoi codici ? Se si pensa bene, infatti, un codice linguistico complesso, cioè una lingua, non nasce per comunicare all’interno di un ristretto clan familiare, ma la sua esigenza si pone per comunicare in un sistema di scambi allargato verso popolazioni distanti, ed è quindi “normale” che le matrici di questi codici siano condivise anche dai gruppi lontani con cui si intesse lo scambio. Se ciò non fosse cadrebbe la sua stessa funzione e non ci sarebbe nessun modo di comprensione fra le popolazioni.
Gli studi recenti, infatti, confermano che già dal neolitico (periodo in cui si sviluppano le pratiche agricole che favoriscono l'incremento demografico e la creazione di una rete di toponomastica) nell'Europa Occidentale si riscontra un vasto materiale di toponomastica preesistente alle lingue dei popoli indoeuropei storici le cui attestazioni sono successive (Italici, Celti, Germanici ecc.) Dimostrazione questa attestante un forte insediamento di popolazioni che praticavano l'interscambio culturale e che avevano l'abitudine di usare le altrui denominazioni innestandoci le proprie, universalizzando così il linguaggio. E' accertata la provenienza indoeuropea di questo materiale linguistico e la sua non riconducibilità alle lingue indoeuropee dei popoli poi preponderanti.

        Il paleosardo è certamente su questa linea. Appartiene indubbiamente alla originaria famiglia indoeuropea. Se si analizzano campioni di toponomastica sarda, con denominazioni relative allo strato pre-latino, si può verificare la loro riconducibilità a termini di linguaggi indoeuropei.
Apprendiamo che, ad esempio, in un gruppo di toponimi molto simili, se dividiamo i termini in due parti ed estraiamo le parti sillabiche comuni, e sottoponiamo poi queste ultime al parallelismo per affinità col greco, otteniamo risultati interessanti. Ad esempio la radice ule, affine al greco ule (
ulh) che significa bosco nei toponimi : Lugurulei, Ligula, Janna Lugulene, Loccula, evidenziano un innesto tra il latino locus che significa bosco sacro ad un termine paleosardo che significava anch'esso bosco. Altri esempi si fanno con la radice ort (che significa monte) in Ortobene, Ortakis, Sedda Ortai, Orzai. E via via con altre radici.

Nell'analisi degli indizi e nell'esame comparativo del materiale storico, mitologico, etnografico, toponomastico e linguistico, che si dovrebbe perseguire per appurare che la lingua dei nuragici era di tipo indoeuropeo, vi è, per quanto riguarda gli indizi mitologici, un importante esempio: un contributo sullo studio della ritualità del carnevale ed in particolare sui Mamuthones di Mamoiada. Si riporta quel rito nell'alveo dei riti misterici di antichissima tradizione, scoprendo ad esempio che le maschere di Mamoiada sono quasi identiche a quelle equivalenti della Tracia. In Barbagia e in Ogliastra con il termine Maimones che significava "pazzi" si volevano indicare i seguaci di Dioniso e con "Mamuthone" si indicava l'esaltazione dello stesso Dioniso. Si rammenta poi come le seguaci del dio, le Menadi, derivi dal greco mainades (pazze) e la stessa radice sarebbe alla base dei termini Maimones e Mamuthones con l'aggiunta del greco tonos (tonos che significa fune), ossia menade legato. Insomma una coincidenza troppo forte per tirar fuori la solita casualità e per parlare di influenze bizantine.

Thurpos (Murales a Fonni)

        Ma, nonostante queste originarie corrispondenze e nonostante che studi archeologici e storici abbiano ormai appurato che la civiltà sviluppatasi in Sardegna dal VI° millennio aveva fattivi contatti non solo con tutte le altre popolazioni del Mediterraneo ma anche con quelle continentali, qualcuno ancora asserisce che le assonanze dei termini lessicali potrebbero dipendere da influenze bizantine e quindi avere un' origine più recente. Ma sappiamo che nel periodo bizantino non solo non circolavano molti elementi dell'area greca in Sardegna ma l'amministrazione, in quei lunghi periodi di guerre e di spopolamento, era attenta solo a imporre la cristianità e a controllare le rivolte, non poteva di certo produrre l'humus di quella vasta materia lessicale. Perché, dunque, stupirsi di quella affinità genetica con il greco che si riscontra, da uno studio un poco attento, non solo nei termini di toponomastica ma anche nei termini botanici, e della vita lavorativa e dei suoi strumenti. Finora questa affinità è stata studiata solo nell'area Barbagia - Ogliastra ma per certo anche qui nel Sulcis si possono trovare tantissimi riscontri perché anche nel Sulcis quelle matrici linguistiche hanno improntato un comune mondo di pesca, allevamento, agricoltura, botanica, tessitura, ceramica, intreccio ecc. che per alcuni millenni si è condiviso pacificamente nel mediterraneo. Noi chiamiamo lua l'euforbia (come pianta velenosa) e vi è una corrispondenza con il greco luo (luw = avveleno). Un componente del nostro telaio antico (che serve a tener ferma e bloccata tutta la sua struttura) si chiama broccionittu e nel greco troviamo brocos (brocos = laccio, cappio). Il nostro zeraccu (servo) corrisponde al cipriota zirakki (servitore). Il nostro tremini (confine) corrisponde al greco temenos (temenos = zona di separazione). Il nostro cuili (ricovero per gli agnelli o capretti neonati, cova) si affianca al greco coilia (koilia che vuol dire utero, grembo).
Molti ed altri studi si dovrebbero fare ancora su un materiale, per fortuna, ancora vasto e vivo, che farebbe tacere finalmente coloro i quali non vogliono credere che la nostra lingua sia nata e cresciuta in libertà, che cioè abbia fondato le sue basi in lunghi periodi di comunicazioni e di pace, ma si ostinano a pensarla come risultanza, prodotto, di preponderanti dominii.
(1)*

Da tutto il neolitico fino al I millennio a.c. gli abitanti della Sardegna erano protagonisti a pieno titolo con altri popoli nello scenario mediterraneo ed è con contaminazioni reciproche che hanno disegnato il forte tessuto di una lingua dai colori ancora vivi.

Così sono orgogliosa e felice di scoprire che il mio Sulcis mi dà ancora questi vocaboli e "su mori" di Zia Felicita (così si chiama la vecchietta) è certamente un dono che mi porta da molto lontano e che, per questo, mi piacerebbe studiare e preservare.

Lidia Flore

Riferimenti bibliografici

M. Pittau :
La Lingua Sardiana o dei Protosardi
Cagliari 2000

M.Pittau :
Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi
Roma 1995

F. Villar :
Gli indoeuropei e le origini dell’Europa
Lingua e storia, Bologna 1996

Mario Alinei :
Le origini delle lingue d’Europa
Bologna 2000

C. Renfrew :
Archeologia e linguaggio

D. Turchi :
Maschere, miti e feste della Sardegna
Roma 2001

L. Rocci :
Vocabolario Greco-Italiano
Roma 1943

A. Farina :
Il mistero del linguaggio dei nuragici
Sardegna Mediterranea n°16


(1)* Nella stessa ottica aberrante che definisce i periodi della storia sarda in : La Sardegna Punica, la Sardegna Romana, la Sardegna Bizantina, Spagnola, Sabauda. Denotando così l'interesse della ricerca non tanto sul soggetto Sardegna ma sugli effetti di altri soggetti su di lei.



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