Ho
letto recentemente un libro che mi ha prima incuriosito e poi entusiasmato.
Parlava di cartografi tolemaici, di miliari antoniniani. Tutte cose apparentemente
noiosissime, roba da specialisti. Senonché si trattava del nostro Sulcis,
della sua antica geografia. Era una indagine che verificava la giusta
appartenenza di antichi toponimi ai siti del nostro territorio non dando
per vere e appropriate le attribuzioni che col tempo si sono acriticamente
accettate ma che verisimilmente possono essere scaturite da ipotesi completamente
infondate. "Cercando Metalla" - così si chiama il libro scritto
da Mario Cabriolu e Gabriele Vargiu - si è scoperto che un'attenta
ricerca e appassionate misurazioni mettevano in discussione gli scritti
di storici e cattedratici e sfaldavano le sedimentazioni di ignoranza
sui nostri antichi toponimi e sulla reale geografia che essi rappresentavano.
Gli
autori non hanno seguito, come forse qualcuno può credere, motivazioni
masochistiche (inimicandosi la ricerca "ufficiale" che nel libro viene
contraddetta) o motivazioni velleitarie (ricalcare lo scoop di "Le
colonne d'Ercole" di Sergio Frau). Essi hanno seguito invece, a mio
avviso, un impulso giusto e sacrosanto che è condiviso da sempre più persone
tra i sardi, e cioè a dire la nostra sulla nostra storia dopo averci visto
più chiaro.
Ci si è proprio stufati di constatare che nei libri di scuola dei nostri
ragazzi, nei capitoli delle prime civiltà italiche, non sia minimamente
menzionata la civiltà nuragica, ad esempio.
Ci si è proprio stufati, ad esempio, di sentire parlare di fondazioni
fenice per siti palesemente di fondazione nuragica. Senza parlare poi
delle fesserie e approssimazioni che scaturiscono da datazioni fatte senza
strumenti scientifici, dai cumuli di reperti non catalogati che non usciranno
mai dai magazzini delle sovrintendenze, e dalle migliaia dei monumenti
non scavati o peggio cancellati dalle ruspe.
Il bisogno della maggioranza
dei sardi di saperne di più e meglio nasce dalla consapevolezza che se
si pretende di esistere oggi e domani si deve anche avere la coscienza
di essere esistiti ieri. Ma questa coscienza non possono darcela la storia
"ufficiale" e le università, che seguono linee di interessi di potere
e che usano canali e linguaggi disagevoli per la gente comune.
E' per
questo che i nostri giovani, e non solo, ignorano il 95% della storia
e della geografia dei territori che li circondano e tutto ciò è grave
perché è il presupposto a non conoscere le vere potenzialità di una regione,
di un luogo, e saperne progettare poi scelte ponderate e intelligenti.
Altri tentativi dovrebbero prendere il lancio, oltre il bel lavoro di
Cabriolu e Vargiu e all'importante libro di Danilo Scintu "Le Torri
del Cielo" nell'ottica di farci da noi un recupero di conoscenza perché
per noi l'archeologia e la ricerca storica sul nostro passato non è un
qualcosa di morto e che piattamente giace chiuso a qualsiasi interpellanza
( così come ci appare attraverso i tradizionali studi accademici e scolastici),
ma è un continuum che ci chiede di essere sempre reinterpretato e quindi
di rivivere in un flusso che aiuta e arricchisce i nostri territori fisici
e mentali di significati nuovi.
Lidia
Flore
|