Il cosiddetto "Brassard" di Is Loccis-Santus |
Gigi Sanna, Il professore
oristanese, autore di "Sardoa Grammata", è stato chiamato
dall'Associazione SardoLog per parlare della sua analisi ed interpretazione
del preziosissimo reperto sulcitano. Si tratta di una lamina di scisto
bruno, erroneamente definita dall'archeologia ufficiale "brassard"
(si veda in proposito l'articolo di Giorgio Cannas;
in Sardegna Mediterranea, 2000, anno IV, pp. 71-73) che contiene,
tra l'altro, chiaramente incisi, dei logogrammi, dei pittogrammi e dei segni
lineari di un alfabeto consonantico arcaico di tipo "protosinaitico".
Per lo studioso esso risulta d'importanza e preziosità inestimabile perché sarebbe la testimonianza di come culturalmente sia avvenuto in Sardegna, intorno alla metà del II millennio a.C., un certo sincretismo tra la millenaria sedimentazione religiosa, culturale e linguistica indoeuropea e la religione, la lingua e la cultura delle ondate semitiche colonizzatrici (cananee ed ebraiche) dell'età del bronzo, sincretismo che produsse una civiltà dai caratteri del tutto originali,espressione dei cosiddetti nuragici (ovvero dei costruttori dei Nuraghi, delle Tombe dei Giganti e dei Pozzi sacri). L'oggetto di Is Loccis-Santus è un documento dalla cui analisi paleografica e linguistica si evince, oltre alla denominazione della divinità paleosarda chiamata DIO TORO ABI (luminoso) PADRE, il nome del sostantivo "bidente" - b d n t -, parola con cui si chiamava in sardo nuragico la Bipenne, simbolo certo, come si sa, della divinità astrale. Un testo dunque con aspetti grafici, fonetici e linguistici originari della Sardegna e non “importati” ma che, soprattutto, offrirebbe la prova della presenza nell'Isola, oltre che della lingua semitica, di un substrato linguistico sardo-indoeuropeo, preesistente alle dominazioni preistoriche e storiche (cananee, sinaitiche, fenicio-puniche e romane). Insomma il sardo non sarebbe una lingua solo romanza ma anche indoeuropea, sorella quindi (e non figlia) del latino, dello stesso ceppo del greco, del germanico, del sanscrito, ecc. Si può dire quindi che si è aperta una finestra nel buio più totale, attraverso la quale si può iniziare a leggere con prove "documentarie" (e non solo indiziarie o mute) quella civiltà della Sardegna nuragica che molti studiosi oggi, con gravissimo ritardo, dicono a parole di voler studiare e conoscere ricorrendo all' interdisciplinarietà, ma che nei fatti si ostinano ad ignorare, negando proprio il canale privilegiato dei documenti scritti (proprio quello che potrebbe far uscire la Sardegna dalla preistoria !). Numerosi infatti sono i reperti di scrittura nuragica (rinvenuti anche dagli archeologi di professione, come il sigillo di S. Imbenia di Alghero e la lamina di Pirosu su Benatzu) che Gigi Sanna ha fatto conoscere al pubblico della conferenza, proiettando sullo schermo le fotografie di testimonianze 'alfabetiche' provenienti da diversi siti sardi, con codici espressivi davvero singolari, soprattutto se rapportati ad altri identici o similari provenienti da altri luoghi relativamente lontani ma vicini culturalmente come l'Anatolia, le coste siro-palestinesi o le isole del mediterraneo orientale. Lidia Flore, direttrice dell'Associazione SardoLog, nel presentare il lavoro dello studioso ha posto, tra l'altro, l'accento sulla grave incuria in cui versa l'enorme e prezioso patrimonio archeologico del Sulcis, negligenza di cui è emblematica la incredibile "sparizione" della lamina nuragica scritta di Is Loccis-Santus oggetto della Conferenza di Carbonia. Il cosiddetto brassard infatti si trova sì, commentato e fotografato, nella pubblicazione del ponderoso e prestigioso volume "Carbonia - Archeologia e Territorio", ma non è mai apparso nelle vetrine né del museo civico di Carbonia (Villa Sulcis) né in nessun altro museo. Dove si trova? E così spuntano delle
domande numerose e un po' inquietanti : |
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