Andavo a quell'incontro sapendo
pochissimo di lei e poco del bisso. Nell'enciclopedia avevo trovato
alla voce bisso : filamento sericeo prodotto da un mollusco marino,
la Pinna nobilis, conosciuto da tempi antichissimi con cui si
tessevano pregiatissime vesti e manti regali.
Tutto
ha origine dal mare e la Pinna nobilis, o nacchera, così la si
nominava nella mia infanzia, era proprio l'emblema di quel potentissimo
fascino che il mare, con le sue stranissime creature e il suo esotico
e indimenticabile profumo, emanava. Dalla mia infanzia nacchere non
ne avevo più viste e neanche il mare da allora profumava più. Mio fratello
maggiore ne portava sempre a casa qualcuna dalle sue battute di pesca,
perché sapeva che noi piccoli restavamo a bocca aperta nel vedere quell'
enorme cozza che aprendosi rivelava il suo grande mollusco misterioso
e prezioso in quella strana custodia madreperlacea. E nelle mie estati
di bambina, senza l'esperienza di quella creatura aliena, il mare forse
non avrebbe generato nel mio immaginario quel richiamo potentissimo
che ha poi rappresentato.
E
lei, la geniale tessitrice, prendeva da numerose nacchere i bioccoli
di fibra, o meglio ciò che dal loro muco secreto a contatto con l'acqua
diventa fibroso, con delicato lavoro di mani li cardava e poi con un
piccolo fuso di legno ne faceva un filamento. Quel poco che sapevo e
che immaginavo era che questa donna lottava affinché questo
filato preziosissimo -perché raro e particolarissimo- e la sua lavorazione
fossero preservati, custoditi e tramandati a connotare un territorio
di un senso altissimo di sensibilità del bello, di preziosità della
natura. Ma ahimè oggi educare a queste sensibilità proprio nel nostro
territorio e specialmente in ambienti istituzionali, quelli che decidono
l'utilizzo del territorio e delle sue risorse, è lavoro non facile. Per
cui immaginavo Chiara Vigo bussare alle porte degli
assessorati, parlare appassionata davanti a presidenti di commissione,
che, non appena la vedevano uscire dalla porta, pigiavano un tasto della
segreteria telefonica per dire :
-Ma chi me l' ha
mandata questa Vigo? Che faccia un progetto! Ma cosa vuole ?
Avevo
cercato quell'incontro a seguito di una fascinazione subita davanti
ad un suo piccolo lavoro. Esposto in una mostra di artigianato artistico,
a cui capitai per caso, vidi un piccolo arazzo: su di una campitura
di lino un piccolo leone alato di colore che sembrava bruno, verdastro,
dico sembrava perché se lo guardavo dall'angolo di rifrazione della
luce esso non era più bruno ma dorato. Un piccolo gruppo di donne, alcune
delle quali giovanissime, m'introdussero nel loro spazio del tessile
e mi spiegarono che quel filato cangiante era il bisso, che l'autrice
di quell'arazzo era la loro maestra, la quale insegnava loro la tecnica
della tintura naturale dei filati -di cui potevo ammirare la splendida
gamma lì esposta- e la tessitura. Al centro dello spazio mi soffermai
incantata: una giovanissima china al telaio stava per ultimare una piccola
figura zoomorfa e con passionale aspettativa indirizzava gli ultimi
movimenti delle mani e delle braccia. Mi insinuò un'idea inquietante:
che quelle figure, quegli animali, non fossero dei semplici cliché tramandati
e riproposti per consuetudine, come avevo sempre pensato, ma che invece
fossero gli elementi di una simbologia autentica emergente dalla sensibilità
femminile che, dal momento dell'infanzia e dell'adolescenza, fissava
la magicità del mondo reale, del sentire, della natura.
Mi
chiedevo cosa fossero il pavone, le arpie, l'uccello con le ali spiegate,
il leone alato, il cervo. Volevo sapere, vi intuivo la simbologia della
libertà e della regalità. Le ali, sempre presenti, erano sicuramente
espressione di bellezza e insieme strumento di libertà. Ma la maestra
in tutto ciò mi avrebbe illuminato.
Eppure mi preparavo a quell'incontro avvertendo
una specie di timore, di trepidazione. Già percepivo emotivamente ciò
che poi avrei focalizzato razionalmente. Seguivo il fascino di un sapere
delicatissimo, vastissimo e profondo e al tempo stesso fragile, un sapere
che avrebbe potuto sfuggirmi per sempre o che avrei potuto perfino danneggiare.
Questo era il mondo dei saperi femminili, che non erano sorretti da
codificazioni, dilatati da perizie enciclopediche, lievitati da poteri
economici e politici come la maggior parte dei saperi maschili che hanno
lunga vita. Questa invece era un'esperienza che per tramandarsi usava
ciò che vi è di più sfuggevole e aleatorio : l'emozione.
Provavo un'emozione strana scendendo dal
piazzale della Basilica per la via del museo. Rivedevo questa
volta in modo coinvolgente luoghi che per tre lunghi decenni non mi
avevano più parlato. Poter accedere ora al fulcro di Sant'Antioco, la
sua anima, la sua arte, mi obbligava a ricordare e confrontare. Un treno
che arrivava al mare, allora generoso, al lido, tanti bambini felici,
rumori, colori, sono immagini dai miei ricordi d'infanzia. In quei tempi
il suo cuore pulsante erano due viuzze che dal molo portuale -dove attraccavano
grosse navi commerciali per caricarsi di vino e formaggio principalmente
ma anche di manufatti di alto pregio- salivano fino a castello :
Via Cavour e Via Eleonora d'Arborea dove fiorivano botteghe d'arte e
lavorazioni che i maestri tramandavano ad allievi e allieve. E così
si affacciavano al mare i lavori del maestro bottaio, del "maistu 'e
carrus" che costruiva carri e ruote, del maestro d'ascia, dell'intagliatore
di mobili d'arredo, del "maistu 'e filettu e prama" -era il maestro
nella preparazione e lavorazione delle foglie della palma nana per la
produzione di cordame e fondi per sedute-, del maestro del ferro battuto
che realizzava balconi e ornamenti, e poi vi erano le sartorie e i laboratori
di produzioni tessili pregiate : dall'arazzo -che prendeva le vie
del mare con destinazioni verso città europee- a produzioni veramente
sfiziose come l'impressione di polvere di vetro sulla seta dei fazzoletti
che le donne usavano, nel costume paesano, far scendere dal collo e
impuntare sul petto, lavorazione che rendeva fluorescente il disegno
per le occasioni notturne.
La
ferrovia, parallela al limite del mare, fendeva questa brulicante vitalità.
Proprio davanti alla stazione un antichissimo lavatoio era il centro
di raccolta e trasmissione delle news di allora, donne a tutte le ore
si incontravano per il bucato ed ogni respiro del paese veniva esaminato
e divulgato. Donne, ma dire donne a quel tempo voleva dire anche bambini,
e infatti erano lì davanti a loro e tutt'intorno, giocavano sulla terra
a pincareddu -su di uno schema di rettangoli tracciati si faceva avanzare
un sasso piatto spingendolo a saltelli con un piede- e con le trottole
di legno. Davanti alle donne, davanti ai bambini, davanti ai maestri
e ai lavoranti, vi era il mare e il proficuo connubio con la sua vitalità,
le barche dei pescatori e il continuo via vai dello smercio. E se era
di Settembre si aveva l'allegra visione del lungo bagno al mare di centinaia
di botti le cui fibre si sterilizzavano e si tonificavo per prepararsi
all'ingravidamento dei vini.
Nei miei ricordi più recenti emergevano
visioni diurne di un lungomare deserto. Bambini non se ne vedono più,
il lido è scomparso, gli adulti amano sostare al chiuso nei bar e nei
market, in quei luoghi di omologazione dove si discute o si compra ciò
che è totalmente estraneo alla comunità e non necessario. La fabbrica
di magnesio, che aveva fumato per venticinque anni i suoi residui proprio
sulle abitazioni, incombe ancora prepotente con la sua sagoma sovrabbondante
di lamiere ed eternit e, dilatando un senso di morbosità, insquallidisce
le potenzialità estetiche del luogo. Lo sviluppo turistico mi dava invece
immagini notturne : una frotta di camerieri che per un mese all'anno
si prostra sui tavolini del corso, la concorrenza fra la musica techno
e quella latino-americana che dai vari locali fa da esca al fiume notturno
di passanti.
Avevo
lasciato l'auto nell'inopportuno parcheggio situato sul piazzale antistante
la Basilica così del tutto anonima anche grazie agli infelici restauri.
Un fondo di silenzio e sgomento mi accompagnava oltre lo stridore del
traffico continuo. Immaginavo quale centro importante di spiritualità,
e poi soprattutto di potere, fosse la Basilica in un tempo molto lontano.
I prelati erano allora i padroni della tessitura, in locali adiacenti
alla chiesa avevano i telai dove le ragazze fin da piccole venivano
avviate alla specializzazione per servire l'intera comunità territoriale.
Chiesi ad un signore, che vidi oltre i vetri del museo, se la casa di
Chiara Vigo fosse quella di fronte, col balconcino su cui gocciolavano
dei teli stesi. Sorridente assentì.
Sulla quarantina, con tratti marcatamente
mediterranei, Chiara mi fece accomodare subito nella stanza del
telaio che riposava quasi completamente smontato.
Notai subito che si trattava di legno
antico e robusto. La cassa battente, appoggiata su di una parete, aveva
incise al centro due arpie affrontanti. In un'altra parete, su lunghi
chiodi vi erano appese matasse di ordito di lino. Ci sedemmo ravvicinate
una di fronte all'altra. Forse mi scambiò per una di quanti si interessavano
di lei periodicamente per piccoli servizi giornalistici, perché mi fece
subito notare il telaio smontato e con accenti risoluti e provocatori :
- Basta!
Ho deciso di mollare tutto, sono arcistufa di promesse e prese in giro.
Vogliono che il bisso muoia ? E lo facciamo morire ! Non c'è problema.
L'unico piccolo problema è che cancellare
me significa cancellare millenni di una tradizione che questa terra
aveva il privilegio di possedere da quelle antichissime e importantissime
civiltà del Mediterraneo Sud Orientale. Ti
rendi conto in che mondo scellerato viviamo ?
La
lasciai sfogare non senza far esprimere al mio volto segni di sconcerto
e condivisione. Ma poi le chiesi subito di spiegarmi cosa non le venisse
dato, riconosciuto, e da chi. Si allontanò svelta porgendomi poi dei
fogli : Proposta di Legge Regionale, stralcio del verbale del Comitato
Regionale Pesca, articoli di giornale. Avevo subito capito di cosa si
trattava.
- Si finanziano
solo progetti che abbiano finalità economiche e che garantiscono sviluppo
dei livelli occupativi come se non sapessimo poi dove si buttano i miliardi
e come se non avessimo qui sperimentato quale sviluppo abbia rappresentato
quel pozzo senza fondo della Sardamag -. Dissi
continuando a scorrere sui fogli.
-
Si, ma non è solo questo - riprese lei -
si fa una legge, vedi? Questo DPR del 1997 che detta il regolamento
attuattivo di una direttiva CEE di cinque anni prima cioè del 1992.
Teoricamente dovrebbe servire a salvaguardare la sopravvivenza della
Pinna Nobilis stabilendone il divieto di catturarla e perturbarla. Pronunciò
quest'ultima parola rallentandone i legamenti sillabici.
- Renditi conto - continuò - che si è legiferato
in questa materia, in primo luogo, senza che dell'animale sia stato
istituito un preliminare censimento regionale serio, che avrebbe rilevato
nelle nostre acque, guarda caso, un ripopolamento evidente. In secondo
luogo, senza pensare minimamente a stabilire invece dei vincoli per
l'habitat dell'animale che è la condizione principale e fondamentale
per poter parlare poi della sua protezione. Perché ti sembra che si
stia proteggendo la Pinna quando si autorizzano gli idroallevamenti
che scaricano nelle sue acque cospicue quantità di mangimi, per non
parlare della soda caustica e della varechina usate per la pulizia delle
vasche? E ti sembra che si stia proteggendo la Pinna quando si lasciano
liberi i pescherecci di arare continuamente i suoi banchi?
Mi guardava porgendomi interrogativi.
- Quindi tutto ciò non sta bene né a te e né alla Pinna, giusto? -
dissi - Certo! - disse, sollevata dalla
mia prontezza - Io ho studiato la Pinna per lungo tempo nel suo
habitat e ti posso dire cosa la perturba : i metalli pesanti residuati
dalle lavorazioni industriali e finiti in mare, il cloro usato negli
idroallevamenti. Non sono di sicuro io che la danneggio, io che, rimuovendo
delicatamente con le mani un po' di fango, prelevo dal suo fondo la
parte terminale del prodotto della sua bava secreta, che insabbio poi
per bene ciò che ho smosso e che una volta emersa mi assicuro, guardando
con un battiscopio, che non abbia avuto danni e che abbia riaperto le
valve.
Era
accalorata ma si prese una pausa mentre io continuavo a scorrere le
righe. Subito però fummo distratte dall'ingresso di una piccola creatura
felina dal pelo nerissimo e lucido, balzò leggera sul grembo di Chiara
che l'accolse con affettuose carezze. Salém, questo era il nome
del gatto, con sguardo vivacissimo procedeva sinuosamente e ripetutamente
all'indirizzo delle mani di Chiara; capivo che il posto da lui occupato
in famiglia doveva essere principesco.
Lo mise giù, e si sentì così un miagolio
di disappunto, per farmi ammirare un piccolo arazzo. Era l'unica concreta
reliquia, mi disse, oltre al telaio, lasciata a lei dalla Nonna.
I colori caldi -rosa, viola, arancio
e azzurro- che si intersecavano tra ordito e trama producevano una sorta
di irraggiamento evanescente, non si poteva non pensare al tramonto
sulla laguna e ai colori ondeggianti che impercettibilmente mutano sull'acqua.
Chiara mi spiegava che sua nonna e la sua città Fenicia erano
la stessa cosa : l'enorme divario tra il lascito concreto, modesto
e precariamente monetizzabile e il ricchissimo e vastissimo lascito
spirituale, fatto di saperi, ora sì, purtroppo, riposti e inascoltati,
ma al tempo stesso magma potente, pronto a scaturire, in altro tempo
e in altro modo, altre sue massime altezze di creatività.
Divagammo sulla creazione dei colori dell'arazzo.
Provavo un'autentica e forte ammirazione ad ascoltare Chiara
e sentire il fiume in piena delle sue parole dava il contatto di acque
fresche di torrente montano dopo aver proceduto per cammini stancanti
e soffocanti di calura.
Mi spiegò come la ricerca del colore
nella tessitura sia indissolubilmente legata alla natura e ai colori
del luogo e all anima culturale che le sue genti hanno impresso. Con
accenti molto coloriti mi raccontò l'aneddoto delle assurde pretese
di una turista milanese che, trovando sgradevole e deprimente il colore
nero nella produzione del tappeto di Mogoro, voleva che venisse modificato
in rosa.
-
Spesso chi ci amministra ci invita a cadere in questa aberrazione,
riprese, in funzione, si dice, di una
nostra migliore vendibilità. Il problema è che non si vuol capire questa
cosa fondamentale : la bellezza della nostra arte, e ciò vale anche
per la bellezza della nostra natura, è già un valore di per sé immenso,
non può ridursi a moneta, a semplice merce di scambio, non si può reciderne
i significati e poi sbatterla su qualsiasi piazza perché si scambi con
altro. Non capiscono la gravità di tutto questo che equivale a svendere
noi stessi, la nostra anima, privarci irrimediabilmente della nostra
identità, di quella conchiglia che siamo, che ha sedimentato nei millenni,
con diversi incontri proficui, la sua particolarissima e mirabile struttura
Questa sua visione della conchiglia ci
riportò entrambi al bisso. Io le spiegai allora il vero motivo del mio
interesse, dissi della mostra, del leone alato. Si allontanò, avvicinandomi
poi il preziosissimo pezzo, teso e custodito da una lastra di plexiglas.
- Questo,
disse, è l'unico pezzo che mi è rimasto di
tessuto di bisso. Vieni, lo portiamo fuori così vedrai come si sveglia,
come si prepara a ruggire
Uscimmo nello stretto marciapiede, interrompendo
il passo di qualche distratto passante, ci investì subito la tiepida
carezza della luce pomeridiana che scendeva dall'altezza della Basilica.
Il leone si fece completamente d'oro,
le piccole trame erano sparite lasciando il posto al vello vivo di una
creatura simbolo di forza e di paternità.
- Stupefacente !,
dissi.
Rientrando
manifestai l'esigenza di sapere sulla maestria del colore, volevo che
mi portasse ad esplorare il giardino affascinante del colore naturale.
- Dici bene,
maestria, disse, Sai,
senza quello straordinario maestro che fu mia nonna, questa nostra discussione,
non ci sarebbe mai stata.
Disse maestro, anziché maestra, sconcertandomi,
per potermi poi dare come spiegazione l'idea che l'arte, nei suoi alti
livelli estetici e morali, giunga ad annullare le differenze di genere.
Mi spiegò che un suo caro amico poeta nel suo massimo lirismo ha una
proiezione di sé al femminile, e che lei di fronte alle sue allieve,
quando brama che le si carpisca il sapere e ha la responsabilità di
scegliere fra di esse chi meglio sappia la differenza tra fare ed essere,
pur essendo donna si senta maestro.
Terminata questa parentesi, si distese in
un grembo di ricordi preziosissimi, a quanto stavo apprendendo, per
la sua crescita interiore, base poi fondamentale per il fiorire della
sua sensibilità artistica.
- Mia nonna
è stata un vero maestro d'arte, non ti dettava il suo sapere, nel senso
che non te lo rovesciava addosso - ciò che molto facilmente avrebbe
provocato un tuo schiacciamento e un tuo conseguente rifiuto - ma usava
una sorta di subdola fascinazione, lei si faceva vetrina di sé, di modo
che chi voleva prendersi qualcosa poi se la prendeva. Usava pochi discorsi,
piccole semplici frasi e gesti che ti mettevano in uno stato di bisogno,
così che dentro di te avessi sempre un fuoco, una bramosia di ricercare
la bellezza e l'equilibrio. Lei ha fatto di me il suo arazzo. Da quando
mi prese in braccio decise di fare su di me una sua copia. Ed io stando
sul suo grembo sentivo di stare come sulla seta. Era per me una forza
paurosamente appagante. Era un respiro dopo una notte di non respiro.
Anch'io
dimostravo una grata piacevolezza ad avere aperto questa porta di ricordi.
Nutrivo infatti la timida speranza di portarla a ripercorrere le strade
delle sue radici, il che sarebbe stato fondamentale per capire veramente
Chiara Vigo e il suo mondo creativo.
Ma poi via via avveniva qualcosa di più.
Seguivo le immagini della nonna con una partecipazione tale da sentirmi
anch'io dentro l'immagine. Ero io la bambina che giocava con la sabbia
e a cui la nonna, per invitarla ad avere conoscenza e amore per il mare,
diceva : "Se vuoi sabbia più fine, entra in acqua, ne troverai di
finissima"
Mi sentivo anch'io calamitata verso quella
fata che mi accostava ai misteri della natura o che mi insinuava i suoi
potenti principi morali. Come quando per far capire a Chiara,
ormai ragazza, che non doveva ridurre la propria arte a strumento di
sostentamento materiale o di lucro, le diceva : Se hai fame
io ti insegno a riconoscere tutte le erbe e le piante che ti possono
rendere sazia e farti stare bene, non c'è bisogno che usi la tua arte
per questo.
- Pensa, quando
da piccola abitavo con la mia famiglia a Sardara,
disse, soffrivo tanto la lontananza
da mia nonna e dal mare che mi dovettero riportare da lei.
A
questo punto avevo ben capito che quella donna, Leonilde Mereu,
maestro di bisso e grande artista di arazzi, che viaggiava per le città
d'Europa lasciando in dono i lavori del suo genio, era l'emblema di
S. Antioco. La sua gonna frusciante di seta lambiva Chiara nella sua
crescita e nella formazione come i tremolii della laguna lambivano la
distesa abitativa e i suoi dolci colori della sera fra cielo e mare
erano la carezzevole sicurezza della sua perpetua maestria e della sua
pervasiva spiritualità.
- Come ti avvicinò al bisso? - Chiesi
- Solo quando
fui pronta, disse, avevo
sui diciotto anni, me ne trasmise i saperi, ma fin da bambina
mi alimentava con le sue esperienze di quella vita marina.
Era bambina di quattro o cinque anni, procedeva
sempre al suo fianco e la sua manina non mollava mai la presa della
gonna lunga della nonna, così anche verso la riva. Poi la bella donna
alta entrava in mare con la gonna -non esistevano i costumi o almeno
non si usavano in quei lidi- e, dopo essersi allontanata un poco per
individuare il banco delle nacchere, diceva alla bambina :
- Porta la cesta qua da nonna !
E
non aggiungeva: -Su vieni, non aver paura che nonna ti tiene-
il che l'avrebbe predisposta al timore dell'acqua e della situazione.
Ma, in virtù di quel sicuro comando, Chiara non si faceva distrarre
da niente e portando la piccola cesta per i bioccoli si accorgeva poi
che i suoi piedini si staccavano dal fondo e a suo modo nuotava.
Prima di congedarmi da quel primo incontro
una domanda ancora non le avevo posto, domanda assai importante che
avrebbe colpito tutto il suo essere :
- Chiara,
ma a chi lascerai l'eredità del bisso? Ad una tua figlia, o può succedere
che tu la consegni ad una tua allieva?
La domanda colpì tutto
il suo essere perché il suo viso abbandonò la dolce espressione dei
ricordi per incupirsi un poco.
- Se io non
fossi accorta e dessi in mani sbagliate il mio sapere,
disse, sarebbero pronti a utilizzarlo per fare niente che sia sacro
come il bisso. Non può essere di tutti e di nessuno, solo un maestro
può custodirlo. Il bisso è sacrificio, studio, determinazione, stare
ore in mare. Ti rispondo che sarà trasmesso per diritto elitario. Se
individuerò la persona giusta in una allieva, sarà lei a custodirlo
e tramandarlo, oppure potrebbe essere una mia figlia, se scoprirò in
lei la vera passione. Può anche succedere che non trovi nessuno e in
questo caso il bisso morirà con me, ma con questo non voglio dire che
la seta di mare sparirà così dalla faccia della terra. Forse in un altro
tempo, forse in un altro luogo troverà nuovamente la sua espressione
con altri maestri, perché, vedi, nell'arte le energie spirituali, come
nella natura le energie chimiche e fisiche, hanno una loro necessità
di esplodere, di manifestarsi.
Ritornavo
a casa, l'auto era già uscita dal paese e, superato il ponte romano,
incominciava la larga virata che accompagnava il lato sud della laguna.
Cercavo di scorgere lontano a nord i luoghi marini di quei racconti
che avevano ancora un eco in me e sicuramente per tanto tempo avrebbero
avuto, ma gli imbruniti colori delle nuvole carezzavano gli ultimi bagliori
dell'acqua, la notte sopraggiungeva togliendo ogni misura.
"I colori dei sogni" Questa era la
scritta che sormontava la porta della scuola di Nuxis. Una semplice
abitazione, sulla strada d'ingresso al piccolo paese, adibita a laboratorio
di tintura e tessitura. Chiara, pur attendendomi, si meravigliò
piacevolmente della mia visita. La sua presenza era solare, circolava
da una stanza all'altra (ogni stanza aveva due telai), nei corridoi
-dove si facevano asciugare appese le matasse di lana che avevano ottenuto
il colore- e nelle stanze aperte verso il cortile, dove si producevano
le tinture, irraggiando la sua intelligenza e la sua carica umana.
Le donne e le giovani ragazze erano serene
ma molto intente e non si lasciavano distrarre dalla mia presenza pur
assecondando la mia invadenza e le mie domande. Chiara mi fece ammirare
la grande pentola scura sul fuoco dove venivano intrise matasse col
nero ottenuto da cortecce del melograno poi scorgendo tutt'intorno la
stanza notai recipienti che contenevano radici essicate di robbia -
per il rosso, mi disse, cumuli di rametti di alaterno -le cui foglie
davano un verde- e poi bacche di lentischio e ovunque matasse appese
con svariatissimi toni di colore bellissimi e inconsueti.
-
Quello è ottenuto con le bucce della cipolla, quello con le scorze dell'arancio,
quello col mirto,
mi indicava alla mia ammirazione.
Mi portò poi a notare i lavori delle allieve,
quelli terminati, esposti a parete. Mi soffermavo come mia consuetudine
davanti ad un paesaggio scrutandone la variabilità delle forme e l'armonia
compositiva della luce. I ricami di lana colorata, lavorati unicamente
dalle dita, emergevano dalle campiture equilibrandone la leggerezza.
Chiara mi faceva poi notare come in certi tratti della lavorazione
la tensione della trama risultava diseguale dando al tessuto un diverso
rilievo accidentato.
- Vedi, questo
la macchina non te lo fa, disse,
tecnicamente può definirsi un'imperfezione.
Ma che diverso effetto estetico! Ce ne facciamo qualcosa della perfezione
se poi non cogliamo il lavoro delle mani, la loro naturale emozione,
che rendono il tessuto qualcosa di vivo che comunica ?
Definiva bene così ciò che provavo
ma che non sapevo spiegarmi : vedevo in quelle trame imperfette
la splendida imperfezione e mutevolezza della natura - un fiumiciattolo
le cui acque da quiete poi si increspano per l'infrangersi su sassi
e scaglie di pietre più sporgenti facendoci così sentire la sua voce,
i suoi suoni.
Ero estasiata, ovunque mi voltassi, dalle
tinte di quelle lane.
- Oh! Mi
piacerebbe tanto averle addosso quelle tinte,
dissi, perché non fate anche dei maglioni per
me?

AIRONI
Chiara
Vigo - 2004
Ordito e trame
in lino, ricamo in bisso
marino ritorto
e rivitalizzato.
Bisso pescato 200 anni fa,
proveniente dall'Università de Bari, Prof. Cosmo Sebastio
|
Sorrisero un po' tutte e lo sguardo di Chiara
sorrideva sornione. Era infatti pronta a dirmi, ed io ero prontissima
a sentire, che le tinture naturali nascevano infatti dall'antica esperienza
delle benefiche influenze che i principi attivi dei vegetali rilasciano
attraverso infusioni, decotti o macerazioni, e che i tessuti così trattati,
col calore del corpo cedono principi volatili molto efficaci.
- Sudare,
mi disse, dentro un tessuto tinto col melograno
o con il giallo dell'elicriso è cosa ben diversa che sudare con tessuti
tinti con colorazioni chimiche.
Veniva qui dalle prime ore del pomeriggio
fino alla sera per due volte alla settimana. Sicuramente era stanca.
Ma stanca soprattutto delle sue battaglie e delle speranze -come questa
della scuola di Nuxis che nacque con modeste finanze- sempre incerte
come naufraghe che scrutano orizzonti mai vicini. Le sue due giovanissime
figlie che studiavano a casa, il marito disoccupato, come tanti altri,
erano la sua famiglia, ma Chiara si proiettava verso una famiglia
ben più vasta. Lei doveva stare in cattedra avendo sicuramente
molto più titolo di certi, non pochi, docenti che non hanno niente di
vero da insegnare e non hanno essi stessi gli strumenti per uscire dal
vuoto di valori che rende asfittica ogni ipotesi di apprendimento. Lei ha fatto della
sua vita la conoscenza e l'interpretazione di questa terra e di questo
mare. Molti di noi, insieme a molti nostri giovani, non osano neanche
pensare che oltre lo sterile e crudele allevamento in cui siamo tenuti
(tra consumismo e inebezione mediatica) convenga fuggire per ritrovare
percorsi più degni, più liberi ed esaltanti per essere concretamente
protagonisti nelle nostre comunità.

LEONI
e GRECHE
Arazzo - Chiara Vigo - 1992
Su disegno di Maria Maddalena Mereu, ordito e trame in cotone,
ricamo in bisso marino naturale. |
|