I fondali favorevoli di cui
si parla erano di un sito lagunare, a circa 4 Km. a nord del centro
abitato di S.Antioco, che si chiama Stann 'e Cirdu.
Questo toponimo, sul quale oggi più nessuno sa completare la traduzione :
"Stagno del ..." non attribuendogli quindi un significato
certo , ha verisimilmente attinenza alla sua antica pescosità.
Se constatiamo infatti che il
vocabolo "cirdu" è molto simile a quello usato dai greci "cirtos",
con il quale anticamente veniva chiamato il cesto, (la nassa) realizzato
con steli di mirto intrecciati per la raccolta dei murici *;
Se pensiamo all' eccezionale habitat dello stagno che dal tempo dei
Fenici fino a pochi decenni fa consentiva la intensiva pesca di murici,
non ci è difficile concludere che quel suo nome ci ricorda la pesca
dei murici e il suo strumento.
Un habitat straordinario non solo per i murici ma anche per la Pinna
Nobilis e per gli altri pesci che come loro avevano bisogno di
una temperatura sui 28° e una salinità che non superava il 40%. Lo
stann 'e cirdu altro non era che la culla delle uova, di enormi
quantità di uova. Diciamo "era" perché negli ultimi decenni quelle
condizioni favorevoli sono state danneggiate.
Nella seconda guerra mondiale si chiuse il passaggio delle acque procurando
un eccessivo proliferare di alghe e la scomparsa di alcune specie
ittiche.
Sul finire degli anni sessanta si incominciò con gli scarichi industriali
dal vicino polo di Porto Vesme che si aggiunsero a quelli fognari
dei vicini centri urbani.
Per arrivare agli ultimi anni che hanno visto il boom delle acquicolture
e hanno significato immissioni quotidiane di quintali di mangimi per
gli allevamenti ittici. Tutto ciò ha peggiorato le condizioni dell'acqua.
Ma non solo.
Da circa 25 anni il nuovo ponte, nelle vicinanze dell'antico ponte
romano, ha riaperto l'istmo e riconsentito la defluenza delle acque,
dallo stagno al golfo di Palmas. Al buon proposito di limitare i danni
degli scarichi inquinanti che ristagnavano da troppo tempo in laguna
non si è affiancato un attento studio biologico. Infatti il ponte
così realizzato, con una grande luce centrale e il suo relativo canale,
creato dragando il fondale dallo stagno fino al porto, non può che
produrre un deflusso forzato e veloce dell'acqua, e quindi disperdere
enormi quantità di uova.
Gli
antichi romani che avevano invece costruito il loro ponte a più luci **,
consentendo un passaggio lento e dolce delle acque, si dimostravano
molto più ecologisti di noi. Per queste condizioni stann'e cirdu
non può ancora tornare ad essere quel grembo sempre prolifico e garantire
a tutte le sue tradizionali specie ittiche un habitat ideale.
*
Anticamente il toponimo era "cirdu". Solamente dopo che nella
cartografia italiana apparve con frequenza la denominazione di "stagno
di Cirdu" venne poi tradotta questa in lingua locale "Stann
'e Cirdu", ma il nome originale connotava il sito in modo figurato
giacché cirdu era la nassa e lo stagno stesso era come un cesto con
una sua entrata (su bugali) e una sua uscita, con relativa
chiusa (sa bogara) dove il pesce, che giungeva dai canali marini,
poteva essere trattenuto e pescato.
**
L'antico ponte romano era edificato molto probabilmente con un minimo
di quattro archi, come altri ponti romani in Sardegna (quello a Tramatza
sul Rio Mannu e quello di Calich presso Alghero) anche se ciò che
la storia ci consegna oggi sono solo due arcate. |
In Sardegna
Fino ai primi decenni del secolo scorso piccole
produzioni di bisso si avevano ancora ad Alghero, La Maddalena, Cagliari,
Cabras, Bosa e Sant'Antioco. Ci fu anche chi, preso dall'entusiasmo per
le particolari proprietà del tessuto marino volle sperimentarne una produzione
industriale. Giuseppe Basso Arnoux inviò dalla Sardegna decine
di Kg di fibra alle filande del nord-Italia. Il risultato fu però fallimentare :
le macchine non solo non riuscivano a filare quei fili ma ne venivano
danneggiate.
L'isola di S. Antioco è l'ultimo
luogo della Sardegna e del Mediterraneo che ci trasmette ancora questo
dono marino. Essa
ha mantenuto
- col favore di fondali bassi e incontaminati e di una importante tradizione
tessile - una produzione di rilievo fino a portare ai nostri giorni con
tenacia, passione e sacrificio, delle realizzazioni che hanno perduto
e superato la loro precedente funzionalità per connotarsi come dei veri
e propri lavori artistici (arazzi anziché guanti o cuffie) marcando così
l'unicità e la preziosità di un prodotto sempre più raro.
A S.Antioco la lavorazione del
bisso è attecchita in epoche molto antiche da apporti mediorientali.
Ciò si può sostenere senza difficoltà, considerando la sua funzione di
crocevia nelle rotte dei popoli del mare. L'apporto di conoscenza e di
tecnica che questi contatti determinavano e lo sfruttamento dei due protagonisti
marini : la Pinna e il Murice non possono che suffragare questa ipotesi.
Dopo
i Fenici molto probabilmente furono gli ebrei a continuare la lavorazione
dell'antico filato. E' attestata dalle scoperte archeologiche la presenza
di una consistente comunità ebraica a S.Antioco già dal I sec. a.C.
E' certo che l'imperatore Tiberio Nerone nel 19 a.C. inviò un gran numero
di ebrei per contrastare il brigantaggio sardo e sfruttarli per il lavoro
nelle miniere metallifere, ma in realtà il vero fine dell'imperatore era
di punirli per i disordini causati a Roma ed esiliarli in luoghi dove
avrebbero con buone probabilità trovato la morte.
Ciò che si presuppone invece è che la
comunità ebraica non soltanto abbia trovato un luogo dove proliferare
tranquilla ma anche di prosperare. Ciò
si può dedurre dalle catacombe ebraiche con tombe ad arcosolio rinvenute
non distanti dalle catacombe cristiane sul pendio del colle della Basilica.
Sul fondo dell'arcosolio di una nicchia appare, scritto in rosso, il nome
della defunta : Beronice.
Con
l'immaginazione questo nome ci fa pensare ad altre Berenice che,
tra leggenda e storia, possono essere state protagoniste della tessitura
del bisso.
Berenice,
sorella di Marco Giulio Agrippa, re vassallo della Palestina. La storia,
riportata da Seneca e poi ripresa nei secoli da drammaturghi e poeti, ci
dice che
A quel tempo Sant'Antioco si
chiamava SLK o Solki, con il toponimo arcaico, oppure
Insula Plumbea, con la traduzione latina del precedente appellativo
greco di Molibodes Nesos -denominazioni che ben definiscono
l'interesse di sfruttamento delle risorse metallifere della zona per
i conquistatori-. |
l'imperatore Tito la conobbe durante il suo comando
nella guerra Giudaica, se ne innamorò e la portò poi con sé a Roma.
Ma lì la loro unione venne
aspramente osteggiata, soprattutto dopo che divenne imperatore.
Così Berenice venne fatta ripartire.
Qui finisce la storia ma, facendoci guidare dalla
fantasia, può esservi la lontana possibilità che la principessa non sia
tornata alla sua patria ma si sia invece fermata nell'isola, ben considerando
che avrebbe potuto avere un ruolo di rilievo nella cospicua comunità ebraica
e che il porto non l'avrebbe tenuta distante da Roma. Così possiamo immaginarci
come il suo atelier possa aver dato vigore alle lavorazioni tessili.
Rientrando
nella realtà è certo che a quel tempo a Roma era di gran moda tra le matrone
e le donne di rango il "vento tessuto", ma il bisso affascinava
indubbiamente tutti se anche un oratore, narratore e filosofo come Apuleio
nel suo libro delle Metamorfosi vede la Dea Osiride "con una tunica
di bisso leggero e cangiante".
Ma
torniamo alla nostra isola.
Per alterni periodi fu spopolata a causa della
estrema insicurezza per le frequenti incursioni violente a scopo di razzie.
Queste si verificavano puntualmente nei vuoti di potere -e perciò di controllo
e difesa- determinati da un cambio di dominio, dopo i Romani, dopo i Vandali,
dopo i Bizantini e così via. L'isola così perse per alcuni secoli l'importanza
del suo centro urbano.
L'antica
Solki che conobbero i Fenici e che per quei tempi fu una vera metropoli,
finì per riconoscersi nel VII secolo solamente nella Basilica arroccata
sul colle traforato di ipogei.
Fu forse proprio grazie all'autorità religiosa, espressa nella sua Basilica
che, nonostante tutto, si poté mantenere quella tradizione di eccellente
tessitura (il santuario di S.Antioco -è bene ricordare- aveva pertinenza
su terre, selve, vigne, servi e ancelle -predestinate tessitrici-).
E
poi il dedalo di ipogei punici, che sono stati sfruttati con funzione
abitativa anche fino al pochi decenni fa, ben consentiva ad una piccola
comunità di mantenere attività produttive essendo nascosta e potendo viceversa
spiare ogni arrivo inopportuno dal mare.
Con il ripopolamento del periodo Sabaudo si riprende a lavorare la terra
anche se con le armi vicine pronte all'occorrenza. Le temute, sanguinose,
incursioni barbaresche cesseranno infatti solo dopo il 1815, dopo la pace
firmata a seguito del bombardamento di Algeri da parte degli Inglesi.
Nel 1914 Vittorio Alinari, fotografo ed editore fiorentino, scrive
nel rapporto del suo secondo viaggio in Sardegna che Sant'Antioco gli
sembra un paese molto industrioso. Dice dei 200 telai che producono nel
paese ogni tipo di tessuto, il più curioso dei quali è quello prodotto
dai filamenti setosi della pinna nobilis. Ci parla del bel colore ramato
del bisso con il quale si confezionarono sottovesti dal bellissimo effetto.
Tra
le suggestive fotografie scattate dai fratelli Alinari a S.Antioco vi
sono anche quelle che ci mostrano delle ragazze intente alla filatura
del bisso : una di esse ha il cestino con i bioccoli pronti e le
altre hanno in mano un piccolo fuso e filano la bambagia. La famiglia
Diana accompagna i fotografi in questa scoperta del mondo tessile di S.Antioco.
Italo Diana, fotografato con mastruca mentre suona le launeddas,
sarà uno degli ultimi maestri a tenere una scuola di bisso.
Molte
famiglie sapevano filare e tessere la seta di mare ma si preferiva mandare
le ragazze a scuola da un maestro quando si voleva far apprendere non
solo la tecnica ma una particolare sensibilità artistica e una intelligente
visione d'insieme nella realizzazione del prodotto finito.
Alla scuola di Italo Diana lavoravano 10 ragazze, tra loro Maria
Maddalena Rosina Mereu. Quest'ultima, a cui la madrina di battesimo
aveva dato il nome Leonilde al posto dei tre nomi d'anagrafe, sarà a tutti
nota come Leonilde. Nota perché sarà poi lei a fare scuola e perché
sarà lei la nonna e maestra di Chiara Vigo,
colei che ci accompagna in questo meraviglioso viaggio.
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